Fausto Vitaliano - Scritto sulla sabbia - recensione

Scritto sulla sabbia

di Fausto Vitaliano – Bompiani editore

Ma questa è la vita, e la vita va dove vuole lei. Dove le conviene, dove la manda il capriccio, il caso, il vento.

Non ricorderemo Gori Misticò per le indagini nella sua Calabria, ma per come ha vissuto l’amore e la malattia, per come ha camminato in mezzo agli altri, spesso schivandoli. Si conclude con Scritto sulla sabbia, edizioni Bompiani, la trilogia di Fausto Vitaliano dedicata al maresciallo dei Carabinieri. Dopo La mezzaluna di sabbia e La sabbia brucia, Fausto Vitaliano ci regala quell’ultimo miglio che manca a Gori Misticò a seguito della scoperta della malattia e dell’operazione chirurgica che solo il suo migliore amico Nicola Strangio può eseguire. È in questo spazio di tempo, pochi mesi, che si completa la grandezza di un personaggio più propenso all’ascolto che all’eloquio, a meno che non si tratti di parlare a sé stesso o a chi non c’è più, come l’amico Michele, morto tragicamente a sedici anni.

Fausto Vitaliano - Scritto sulla sabbia - recensione

A Misticò non resta che interrogare la coscienza e l’immaginazione: “Gori si fece una domanda che mai si era posto e che mai pensava si sarebbe posto: si chiese che razza di padre sarebbe stato, qualora avesse avuto figli”. È il rapporto con Federico Costantino, giovane brigadiere che lo ha sostituito e lo ha sempre considerato più di un capo, a rimandargli quell’interrogativo. Federico e Gori hanno lavorato insieme, ma soprattutto hanno collaborato vicendevolmente nel riempimento di quanto mancava nelle loro vite: a Federico un padre e a Gori un figlio. Benchè in congedo, Gori aiuta Federico a risolvere il caso di una donna trovata morta, ma la soddisfazione per il successo dell’indagine è poca cosa rispetto a quell’abbraccio di commiato tra Gori e Federico: quando la prima e l’ultima volta di un gesto mai compiuto coincidono, segnano un passaggio, una conquista che per Gori è essere riuscito a provare dispiacere ad andarsene, “e sono felice che mi dispiaccia. Vuol dire che ne è valsa la pena. Che sono stato felice di essere stato qui”.

Gori poi pensa alle liste delle “Ultime Volte”: “tutti ci ricordiamo le Prime Volte, come se quelle fossero le cose che contano, le uniche da ricordare. Ma è il finale che definisce il racconto e ne chiarisce il senso”. Misticò sa qual è il senso da dare al suo finale, a quel che gli resta. Gli manca un ricordo del padre, ma non può fare appello alla memoria, era troppo piccolo. Non gli basta l’immagine di una vecchia fotografia trovata che lo ritrae con i suoi genitori. Gori cerca l’intimità dietro quelle immagini, i gesti che fanno di un uomo un padre, di quell’uomo fotografato, suo padre. Le forze gli consentono di affrontare un’ultima indagine, la più importante, quella che può dare un senso alla sua vita. Gori riesce a risalire a chi scattò quella foto e sapere quel che cercava. Misticò sta scegliendo le prove da affrontare, sono prove emotive di avvicinamento e, al tempo stesso, allontanamento dalla vita. L’amica Lus, incontrata per caso, lo aiuterà in questo, a considerare (e praticare) il pensiero che “ancora un solo giorno è sempre un giorno”. Da vivere.

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