Nadia Busato - Factory Girl - recensione

Factory Girl

di Nadia Busato – Sem edizioni

Più di un saggio, più di un romanzo: Factory Girl di Nadia Busato, Sem edizioni, è una narrazione di memoria e dolore affidata a una delle donne bellissime e maledette della Factory di Andy Warhol. La scrittrice, tramite la voce di Ultra Violet (Isabelle Collin Dufresne), racconta la catabasi delle giovani che ruotarono attorno a quella fabbrica di arte, sogni, illusioni e annichilimento che fu la cerchia di Warhol. “Se sto scrivendo questo libro, oggi, è proprio perché ho bisogno di evadere dal posto in cui l’artista ci ha ‘plasmate’ e voglio uscirne insieme alle mie compagne di viaggio come delle persone e non più come oggetti creati per essere ammirati, danneggiati, distrutti, dimenticati”. A Ultra Violet non basta raccontare: chiede al lettore di comprendere cosa furono quegli anni e cosa abbia significato, nel corpo e nell’anima, farne parte direttamente. Il richiamo all’attenzione è un patto fra chi legge e chi svela le inquietudini esiziali di donne che si persero in quel vortice di successo e conseguente allontanamento praticato da Warhol.

Nadia Busato - Factory Girl - recensione

“Certo che per lui eravamo solo figurine in un album di ritagli di giornale e belle facce da copertina! Senza la nostra attiva partecipazione, la disponibilità dei nostri corpi e l’inevitabilità con cui accoglievamo ogni compromesso, allora tutta questa devastazione psicologica e sociale, le attività aberranti, il sesso pubblico, l’edonismo (…) senza di noi tutto questo non sarebbe diventato un fenomeno mediatico, una rivoluzione sociale o un argomento di pubblico interesse”. Ciò che Ultra Violet riporta è il frutto di un lavoro di documentazione e ricerca di Nadia Busato che riuscì anche a intervistare John Giorno, compagno di Warhol. Negli anni Sessanta la Factory era la fucina della controcultura, l’approdo di chi cercava notorietà, l’attrazione irriverente per donne bellissime in cerca di un Pigmalione. E Factory Girl è anche la fertilità degli anni Sessanta su temi dirimenti e nuovi per l’epoca: ambiente, pace, autodeterminazione, diritti e una nuova coscienza femminile che tentava di affrancarsi non senza rabbia, non senza conseguenze.

Al centro di quegli anni e di Factory Girl, ci sta Edie Sedgwick, ragazza pop dell’anno 1695. Fu lei ad avere l’attenzione e una forma d’amore da parte di Warhol. Edie e Andy erano una coppia: complementari, idiomatici, protagonisti, soli. Edie è bellissima, in cerca di approvazione e di spazio. La Factory la accoglie e Warhol ne fa ciò che vuole: uno spettacolo. È a lei che è dedicato questo libro, a lei Ultra Violet vuole restituire voce parlando del destino comune fatto di fragilità, esaltazione, fama e decadenza: “La fame, la fame d’amore: è questo il fondo del pozzo in cui deperiscono le ragazze come lei”. In questa bulimia, Edie ha trovato la famiglia della Factory che l’ha sfamata per affamarla ancora di più, l’ha resa unica e dipendente, famosa e reietta, irresistibile ed esiliata.
Ultra Violet parla di lei come un paradigma di infelicità e autodistruzione, ne parla da  sopravvissuta che convive con il ricordo e il pensiero di anni intrappolati dentro una finzione soverchiante: la scrittura in tarda età è l’unico modo per liberarsi, per uscire definitivamente dalla Factory e urlare l’infelicità di tutte, tutte quelle che, come Edie, hanno perso la voce, dopo avere perduto loro stesse.

Factory Girl segue Non sarò mai la brava moglie di nessuno (Sem) e Padania Blues (Sem).

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